lunedì 4 giugno 2012
QUESTIONI DI PASTA
Una sera con amici parlammo di pasta, caposaldo irrinunciabile della cultura italiana in Italia così come nel mondo. La disquisizione “colta” era partita dal fatto che in Italia, come nel resto dei paesi Occidentali, l’aspetto più importante di un cibo sia il sapore e tutti i soffritti, rosolature, intingoli e guazzetti, tesi a dare all’ingrediente di partenza quanto più gusto si possa, corroborano questa tesi. Il confronto era con la cucina giapponese dove invece è la consistenza ad avere maggiore valore. E’ sufficiente considerare il sashimi, fette di pesci di diverse specie servite con la stessa salsa. La chiave di lettura del piatto sta nelle consistenze che diversificano la ricciola dal tonno, l’orata dal salmone…. Ed ecco che entra in scena la pasta. Qual è la condizione irrinunciabile per poterla gustare? E’ che non sia scotta. Meglio cioè insaporita con un filo d’olio, e cotta la punto giusto, diciamo al dente, che abbinata al più buono dei sughi, ma scotta. Da qui la considerazione che anche per noi, almeno per quanto concerne la pasta, la consistenza è l’aspetto più importante.
Però l’aspetto che più mi intriga della pasta è quello legato al costume.
Il piatto di spaghetti era la portata povera servita per togliere la fame, per saziare. Non era piatto che entrasse nei menu delle cene di gala per intenderci. Ma non per questo veniva preparato in modo casuale.
Infatti in epoca premarchesiana vi erano alcuni capisaldi, dogmi, da rispettare riverenzialmente quando si parlava di pasta perché proprio la pasta, era una delle certezze su cui si basava la socetà, un caposaldo culturale. Innanzitutto doveva essere, oltre che abbondante (sic), fumante, condita con salse e sughi generalmente codificati; doveva inoltre cuocere in tanta acqua bollente ed essere scolata al dente, o comunque non scotta. Ed è quest’ultimo il principio che non è stato mai messo in discussione. Gli altri sì. Innazittutto ha cominciato a essere servita fredda scrollandosi così di dosso tutti i sughi più grassi e ricchi di intingoli che si possono apprezzare solo caldi. Poi oltre alle salse si è associata a ingredienti particolari. Uno dei piatti di pasta fredda più celebrati, sono gli spaghetti freddi conditi con caviale, erba cipollina e un filo di olio quanto basta perché la pasta non si attacchi. Non è una pasta per sfamare ed è degna, proposta magari per antipasto, di essere servita alla tavola più esclusiva. Questo piatto ha infranto tre principi ossia la pasta non è l’ammazzafame da consumare alla Totò, ossia il piatto necessariamente abbondante; si può servire fredda; si può condire senza una salsa di accompagnamento della tradizione, anzi con un ingrediente neanche tanto italiano. Il piatto fu realizzato, per dovere di informazione, da Gualtiero Marchesi. Ma dopo di lui, si sa, la dissacrazione della pasta è andata avanti, o forse sarebbe più corretto dire che è proseguita la sua celebrazione di cibo non più provinciale. Per esempio, Danilo Angé cuoco che tiene anche corsi di cucina, prepara gli spaghetti alle vongole facendoli prima idratare nell’acqua delle vongole stesse, quindi li cuoce nello stesso. Il piatto è più complesso perché richiede altri ingredienti, ma la procedura di cottura è tale. Per non dire del modo irriverente di cuocere la pasta di Elio Sironi, ex chef del Bulgari e ora operativo in Sardegna. Sironi, dopo poco aver buttato la pasta nella casseruola, spegne il gas e se ne va, per tornare a cottura avvenuta. E perché mai questa procedura? Per risparmiare sull’energia? La pasta così cotta
ha perso meno amidi ed è più ricca di sostanza nutritive, spiega Sironi. E forse è anche più buona, azzardo io.
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Mi piace questa divagazione sulla pasta e la differenza (magari neanche poi tanta) con la visione del cibo nostra e di quella di altre etnie. E anche vero che a dipendenza di dove siamo nati abbiamo una visione più o meno diversa di come si mangia la pasta: mai dare ad uno svizzero tedesco uno spaghetto cotto per meno di 48 minuti (hhah) e mai dare ad un italiano una pasta condita con chili e chili di salse e salsine.
RispondiEliminaInsomma a ognuno il suo! E noi? Noi mangiamo :)
Quanto è giusto che un piatto di tradizione continui ad essere solo ed esclusivamente di tradizione e quanto serve a tutti i costi trasformarlo in qualcosa che non è mai stato...Dipende dal lessico...ma anche dal buon gusto e dalla misura, quanto possiamo togliere e aggiungere e quanto siamo "scolarizzati" per farlo...
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